Da millenni, gli esseri umani di fronte ad eventi che attentano alla loro esistenza hanno cercato aiuto in forze esterne alle risorse personali di cui disponevano in quel momento. Così all’inizio dei millenni, le forze misteriose della natura, divinizzate e personificate, vennero ritenuti responsabili delle vicende mutevoli di ritmi ordinati per il fiorire della vita umana oppure di manifestazioni dannose agli uomini. E si fece strada nell’opinione umana che qualche divinità, ritenuta fonte di eventi negativi, fosse adirata e quindi andasse placata. Di qui vennero molteplici forme di riti degli umani verso le forze divine, con cui riconoscere la piccolezza dell’uomo o il proprio errore nei confronti delle energie vitali. La vita del popolo ebraico, raccolta nelle sacre Scritture, testimonia lo stesso comportamento del popolo eletto nei confronti di Dio, riconoscendo in lui l’autore della vita nella creazione ed il legislatore che indica agli uomini le norme per camminare nella via della giustizia. Ogni deviazione, dei singoli o del popolo, dalla fedeltà alla legge divina, veniva pesantemente punita per riportare il cammino nella fedele osservanza al patto iniziale. I profeti per certi aspetti cercarono di interiorizzare questo dinamismo, uscendo dai semplici riti di espiazione per richiedere una vera conversione del cuore, ma per altri versi continuarono a rafforzare questa logica. Gesù Cristo, ancor più dei profeti, ha riportato le manifestazioni del bene e de male nelle scelte interiori di ognuno verso Dio, il Padre misericordioso, e verso gli uomini, chiamati a riconoscersi come fratelli. Ma i testi evangelici non hanno tralasciato episodi in cui egli è intervenuto nei confronti di malattie, guarendole come liberazione dal male interiore, e verso forme scatenate della natura, presentandosi come signore superiore ad ogni avversità.
Così nei secoli cristiani divenne normale che si continuassero i riti di supplica, fatti ora in nome di Gesù e poi dei suoi amici, i santi; e si cercarono luoghi verso cui concentrare le manifestazioni religiose nei momenti di maggior pericoli. Ancora poco si sa di come sia stata invocata Sant’Anna in occasione della peste del 1630, perché nella memoria locale è rimasto solo un pellegrinaggio di riconoscenza da Pietraporzio nel 1633. Il primo evento strepitoso, risolto positivamente per intercessione di Sant’Anna, avvenne a Vinadio nel 1664: il 23 agosto un furioso incendio si sviluppò nella parte superiore di Vinadio; di fronte al rischio imminente che tutto il paese ne fosse investito per lo spirare di un forte vento, i sindaci e consiglieri comunali fecero voto di un pellegrinaggio annuale al Santuario di Sant’Anna. In modo altrettanto rapido il vento si trasformò in pioggia battente che spense le fiamme. Da quell’anno la gente di Vinadio sale in pellegrinaggio a piedi al Santuario, in ringraziamento a Sant’Anna. Uno dei pellegrinaggi più solenni avvenne nel 1835, con circa 4.000 fedeli di Vinadio ed Aisone, per aver scampato il terribile colera, che nell’anno precedente aveva mietuto vittime in mezza Europa. La cosa significativa è il tipo di pellegrinaggio che avveniva al Santuario di Sant’Anna: data la sua distanza ed inacessibilità per molti mesi all’anno, non era un luogo sacro a cui correre quando scoppiava un pericolo, ma la meta a cui convergere in ringraziamento per aver superato positivamente un evento di sofferenza e di paura per la vita. Questo avveniva in una fase successiva ad un “voto” fatto durante la calamità; in quel frangente si invocava la protezione di Dio per intercessione della Santa, con la promessa di andare a ringraziare una volta superato felicemente il pericolo. Quanto è avvenuto per la comunità di Vinadio e di paesi vicini, con storici pellegrinaggi di ringraziamento, anche ripetuti per generazioni, è avvenuto per molte persone, che lasciavano in riconoscenza il quadro raffigurante il pericolo superato, con la dedica del “voto fatto, grazia ricevuta”. Nella speranza che l’attuale pandemia risparmi la nostra vita, sarebbe auspicabile un più intenso movimento di ringraziamento di fedeli verso i santuari per render grazie a Dio. Ma il clima culturale e l’opinione corrente sono profondamente cambiati rispetto alle generazioni precedenti: oggi il riferimento per la salvezza umana viene dalla scienza e non dalla fede. Semmai i pellegrinaggi si dovranno fare ai laboratori degli scienziati, il grazie e le targhe di riconoscente memoria andranno agli eroi, medici ed operatori sanitari, che hanno parato i colpi peggiori a rischio della loro vita. Allora con che spirito si potrà salire a Sant’Anna quest’estate?
Forse riscoprendo tutti l’antico atteggiamento religioso dell’adorare, del mettersi in umiltà e riconoscere, come invitavano i profeti, che quando le risorse umane diventano idoli, cioè sicurezza orgogliosa, poi deludono, non solo perché non danno la garanzia della salvezza, ma sono contagiate da oscuri interessi di umani. Ed inoltre una sosta in alta quota può ricordarci la luce con cui Gesù, sul monte, ha cercato di preparare alcuni amici a capire che la via della vita non è illuderci di costruire qui sulla terra le tende del benessere per qualcuno, ma è avviarci a dare la vita servendo ed amando: questa è la via con cui l’esistenza umana trova il senso che porta oltre la morte. Com’è la memoria di quelli che in questa pandemia ha dato la vita, medici ed operatori sanitari, persone di scienza e di cuore, o come i tanti nonni morti in solitudine. Nel silenzio dei monti il loro ricordo può ravvivare il sentimento, in questa generazione senza padri, che la nostra vita ha delle radici, delle persone, che ci hanno preceduti nel servizio e nell’amore, perché la nostra vita sia diventata possibile: come era avvenuto per Gesù che aveva pure avuto dei nonni: Gioachino ed Anna. Si potrà salire in alto per smarrire lo sguardo nel cielo infinito e ringraziare per chi, in diversi modi, ha dato la propria vita, perché la nostra ritrovi il senso di essere radicata nel dono.
don Gian Michele Gazzola