La protagonista per eccellenza, al Santuario Sant’Anna di Vinadio, è indubbiamente la fede. Non la si può monitorare scientificamente; non è una realtà materiale che si può toccare, pesare, misurare. È una mirabile fonte interiore, che consente di creare autentiche meraviglie, in grado di migliorare sensibilmente la vita, e non solo quella di chi la possiede. Senza la fede chi mai avrebbe costruito, mantenuto in vita, abbellito, anno dopo anno, un santuario a oltre duemila metri di altezza? È questa la virtù che, da sempre, richiama lassù miriadi di pellegrini, alla ricerca dell’unica realtà veramente indispensabile: la pace interiore, la serenità d’animo, l’armonia in se stessi e nei confronti del prossimo. La dinamica interiore varia da persona a persona, ma la virtù è sempre quella, sempre la fede. Mutano i tempi, i costumi, le regole, i protagonisti.
Con l’aiuto dei bollettini, che si stampano a partire dal 6 giugno 1935, abbiamo fatto un passo indietro nel secolo scorso, quando si arrivava lassù a piedi e tante/i a piedi scalzi.
“Non è da molto arrivata al santuario una giovane diciottenne… dopo aver camminato per quasi un’intera giornata attraverso le montagne, giunta a Vinadio, compì l’intera salita a piedi scalzi. … conosciamo alcune brave donne di Vinadio, tra cui una più che sessantenne, le quali dopo essere state al santuario in macchina, quasi prese da rimorso, vollero ritornarvi facendo l’intera strada a piedi.”(settembre 1935). E ancora “non è un ricordo dei tempi passati, ma un fatto all’ordine del giorno” (agosto 1937)
La strada era ed è lunga e la salita, dai 900 metri e poco più di Vinadio ai 2025 del santuario, è impegnativa e prevede di norma quattro ore e più. Molti volevano arrivare lassù digiuni, sia per quel che riguarda i cibi, sia per le bevande (acqua compresa) una disposizione ecclesiastica concesse però “la dispensa dell’astinenza delle carni nel venerdì per i pellegrini in viaggio a S.Anna” (luglio 1937) ma già nel giugno ‘36 era stata fatta questa eccezione, invitando però i pellegrini “a supplire l’astinenza, con altre opere di cristiana pietà”.
In quegli anni le auto erano poche e per pochi. Fu così che il bollettino del maggio ‘37 invitava i fedeli a creare comitive e a ricorrere ad autisti, invitati anch’essi a far conoscere i prezzi che avrebbero praticato, in pratica a farsi “una buona réclame”. Puntualmente nel bollettino successivo, in quarta pagina, sono indicate le autorimesse che offrono tale servizio da Borgo S. Dalmazzo, Bra, Chiusa Pesio, Pradleves, Cuneo con tanto di foto della “Ditta Vione”. Nel giugno del 38, e poi negli anni successivi, fu creato “un premio per gli autisti” invitati a firmare un registro apposito, in cui si indicava la provenienza, i chilometri percorsi, e i passeggeri trasportati. Venivano fissati i premi: al primo classificato tre ricordini, al secondo due, al terzo uno. Pare una favola; è la realtà di allora. Finalmente il bollettino del maggio 1939 riportava la notizia che dal 20 luglio al 24 agosto ci sarebbe stato “un primo tentativo di servizio (pubblico) da Cuneo per Sant’Anna […]per tre giorni della settimana: giovedì, sabato e domenica”.
Quanto alla possibilità di poter alloggiare al santuario, una disposizione dell’agosto 1938 ricordava ai pellegrini che “non si concedevano camere per più notti alle stesse persone”, tantomeno nelle giornate del 13 e 14 agosto… Il motivo era semplice: poche camere e tanti richiedenti. Questi ultimi erano però già dei privilegiati rispetto a quelli degli anni precedenti, che arrivavano a piedi e “riposavano” direttamente in chiesa, per ripartire poi il giorno seguente. È infine interessante il caso dei francesi, numerosissimi fin dal 1935 “in un clima politico di perfetta intesa che viene a rendere più aperta e spiccata questa fraterna amicizia” (luglio 1935) Così sarà pure negli anni successivi, fino al giugno del 1940. È però pur vero che il bollettino del settembre 1938 riporta la notizia secondo la quale “i francesi avrebbero incontrato difficoltà per venire a S. Anna e sarebbero stati trattati con durezza”. L’articoletto smentisce però tale voce: “i pellegrini francesi vennero accolti colla consueta e non mai alterata cordialità”. Poi nel 1940 l’Italia dichiarò guerra ad una Francia già sottomessa dai nazisti, una brutta pagina per il nostro paese. Dalla Francia non arrivarono più pellegrini fino al 1944 quando si presentarono da liberatori… Leggiamo dal bollettino del maggio 1946: “il primo pellegrino, e fu il solo per quell’anno, comparve nell’estate del 1944, in uniforme di Maquisard, armato fino ai denti, e portò il saluto degli uomini della resistenza ai partigiani piemontesi”. La storia aveva voltato pagina: ora gli ex nemici erano amici e gli alleati, i tedeschi, avrebbero scritto pagine di dolore e di morte, e non solo sulle nostre montagne, fino all’aprile del 1945.
Valter Giordano