Oltre ai fedeli e ai pellegrini, un’altra protagonista assoluta del Santuario è la neve, che lo ricopre per molti mesi. A questo proposito è opportuno citare il bollettino del settembre 1937 che, a pagina 3, scrive quanto segue: “Al Santuario e nei dintorni ha il suo domicilio perenne. Siamo soliti trovarla abbondante al nostro arrivo e lasciarne ancora alla partenza. Essa può venire dal cielo in qualunque mese dell’anno. Durante la stagione estiva si tratta però di una infarinatura, che tosto sparisce”.
A creare difficoltà non è quindi la neve, che può cadere anche in estate, ma quella dell’inverno precedente.
Il bollettino del luglio 1936 si esprime infatti in questo modo a pagina 4, in un trafiletto dal titolo significativo: “Finalmente la strada aperta”. Vi si legge: “Quest’anno, a causa delle eccezionali nevicate, la strada al Santuario rimase interrotta dalle valanghe anche per le feste, nonostante che da venti giorni lavorassero per lo sgombero alcune decine di soldati. Ad ogni modo sabato primo agosto, venne ultimata l’opera di sgombro, e quindi la strada è libera e si può raggiungere in macchina il Santuario”.
Il lettore coglierà per tanto meglio il significato di quel “finalmente” che introduceva il trafiletto citato. Non ci si stupisca poi che “alcune decine di soldati” avessero impiegato circa 20 giorni. A quei tempi non c’erano mezzi meccanici in grado di liberare la strada nello spazio temporale di un pomeriggio, come avviene oggi.
In secondo luogo le nevicate, almeno in certi anni, risultavano copiose e frequenti, al punto che il Santuario, nel maggio del 1935 è circondato da oltre due metri di “bianca” come la chiamavano e chiamano tuttora, almeno i vecchi, in Valle Stura. Leggiamo: “Esso (il Santuario) va liberandosi dalla neve, che per più mesi lo tenne quasi del tutto sepolto, e che al fine di maggio ancora lo circondava da ogni lato con un’altezza di metri 2 e 2,30”.
Tre anni dopo nel maggio del ’38, la situazione è molto diversa: “Ed ecco infatti … di nuovo a Sant’Anna… questa volta, al cinque maggio, in macchina fino al piazzale del Santuario”.
Nel tardo autunno del ’39, a pagina 3 del bollettino di ottobre/dicembre, si legge: “Autunno eccezionale è veramente questo per Sant’Anna. Anche a principio di dicembre si poteva arrivare comodamente in macchina fin nel piazzale del Santuario”.
Come si può notare, la natura, allora come ora, aveva e ha le sue leggi. Anche oggi nonostante le previsioni metereologiche siano maggiormente affidabili, può succedere, e succede…, che certe precipitazioni improvvise ci colgano impreparati. Capita che un inverno sia più ricco di precipitazioni ed un altro più secco. Con un pizzico di umiltà, che non fa mai male, evitiamo per tanto di dire che “ un tempo nevicava di più”… Anche allora, si è visto, un anno era ben diverso dall’altro in fatto di nevicate. Il Randiere, la sua famiglia, il “servitore Burin”, qualche ragazza di Vinadio che “andava a servento” vivevano lassù anche in inverno, “sepolti” dalla neve, isolati dal mondo. E non c’erano tv in cerca di facili pubblicità ad intervistarli e a diffondere notizie “eccezionali, drammatiche, in esclusiva” come avviene al presente “ad ogni piè sospinto”. La gente viveva una vita più ordinaria e moriva , anche a Sant’ Anna, nel silenzio e nella più assoluta solitudine.
Il bollettino del maggio ’42, a pagina 2, riporta con i soliti tratti essenziali, che evitano persino di citare il nome del defunto, questa notizia: “Rivedemmo Sant’Anna… il 3 marzo. Questa volta la neve era abbondante e fresca… in quei giorni s’era avuta una vittima della neve presso il ponte che si trova passata l’ultima scorciatoia per Sant’Anna. Erano ancora fresche fresche le buche fatte per disseppellirlo”. Quanto pudore nel dare una simile notizia, quanto rispetto per un povero essere umano seppellito da una valanga, che lezione per i nostri tempi affamati di chiasso inutile e dannoso!
Giordano Valter